giovedì, ottobre 25, 2007

legge 30------io precario

Legge 30. La precarietà del sociale e di chi ci lavora
Nella cooperazione sociale gli interinali crescono del 159%. Condanna dell'ONU


di Francesco Piobbichi*

Anche l’Onu si è accorta che la legge 30 deve essere superata. Non lo dicono quindi quelli che il 20 sfileranno contro la precarietà, ma l’Agenzia per il lavoro dell’Onu ( ILO ) che ha convocato il governo italiano per ascoltarlo dato che le forme di precarietà esistenti nel nostro paese sono in contrasto con la convenzione 122 del 1971. Convenzione che obbliga gli stati che l’hanno sottoscritta a realizzare un’impiego pieno, produttivo, liberamente scelto per i lavoratori. La commissione dell’ILO composta da una ventina di giuslavoristi in poche parole ha bocciato l’operato del Governo Berlusconi in tema di lotta alla precarietà e rimandato a settembre il Governo attuale ( Fioroni compreso ). Si dirà che una commissione dell’Onu poco conta in tempi in cui si vogliono far contare di meno i programmi elettorali, ma questa notizia fa il paio con un’altra uscita pochi giorni prima riguardante uno studio dell’ISTAT sul terzo settore che andrebbe analizzata con una certa attenzione.
Nella cooperazione sociale gli interinali crescono del 159% in 2 anni, mentre la maggioranza assoluta delle cooperative sociali (65,9%) continua a registrare entrate di origine prevalentemente pubblica. Ciò vuol dire, con tutti i rischi della semplificazione, che i comuni italiani in questo breve periodo, hanno esternalizzando i propri servizi sociali utilizzando prevalentemente forza lavoro precaria. E’ del tutto evidente che la precarizzazione dei servizi sociali, porta con sé un doppio decadimento, che coinvolge sia chi il servizio lo fa ( l’operatore sociale che ha tempi, salari, diritti sempre più ridotti), sia chi il servizio lo riceve (l’utente, che riceve i servizi con personale sotto stress). Ma non c’è solo questo, in una società sempre più spaventata e frammentata, dove la risposta al disagio sociale viene cancellata sotto il refrain delle retoriche securitarie, di tutto avremmo bisogno in questo momento tranne che indebolire i reticoli che le politiche sociali possono sviluppare nei territori.
Ogni volta che un contratto a termine non viene rinnovato, si perde un tessuto di relazioni che l’operatore sociale porta con se. Questo tessuto non si riforma nel breve termine, nemmeno se manteniamo in piedi il servizio stesso, perché il lavoro sociale è risorsa preziosa che manifesta i propri effetti nel tempo. Ridurre sensibilmente gli effetti che produce la desocializzazione del lavoro è oggi il punto principale su cui intervenire per rendere più vivibili le nostre città, un processo questo che dal nostro punto di vista deve coinvolgere chiaramente tutte le figure lavorative, ma che diventa ancora più angosciante se i primi a produrlo sono le amministrazioni pubbliche.
Chi lavora in strada a distribuire siringhe sterili, chi porta le coperte nei dormitori, chi va nelle case a fare assistenza agli anziani e ai disabili o chi lavora nella salute mentale, ha bisogno di vedere che al proprio lavoro venga riconosciuta una dignità che oggi non ha, anche per questo occorre scendere in piazza sabato 20 ottobre.


*responsabile politiche sociali Prc-Se

Roma, 16 ottobre 2007
Un viaggio verso la deprecarizzazione
di Mauro Atzei


Dopo un tragitto durato 9 mesi (una vera e propria gestazione umana), il 13 settembre 2007 sono cessati i termini utili per le presentazioni delle domande di partecipazione al bando pubblico per la stabilizzazione dei centoventi lavoratori precari in forza al Comune di Cagliari.
A raccontarla così, in sole tre righe scarse, non sembra che sia stata una grande impresa. Immaginate invece, quanto sia stato difficile per noi lavoratori dei cantieri regionali (impiegati assunti con contratti a tempo determinato presso gli uffici tecnici e amministrativi del Comune di Cagliari ma sovvenzionati con fondi della Reg.Aut. Sardegna), autentici fantasmi degli enti locali che avevano difficoltà anche solo a formare un gruppo di “due” giusto per bere una birra o un caffè. Eh si! La chiave della vicenda ruota tutta attorno a questo problema: noi non eravamo mai stati uniti, ci ignoravamo a vicenda, perdevamo il nostro tempo a sgomitare per riconquistare di volta in volta alla scadenza, un nuovo contratto, possibilmente a discapito del collega più vicino in graduatoria, anche perché il meccanismo dell’alternanza non garantiva mai un posto a tutti contemporaneamente. Un lotta tra poveri. Questo sistema perverso, creato ad arte dai dirigenti dell’amministrazione comunale, permetteva all’azienda di avere dei lavoratori a tempo pieno, ma con contratti a tempo determinato a costo zero, bramosi di lavorare e di restare disoccupati il meno possibile, inclini al servilismo, e poco fastidiosi in fase di rivendicazione sindacale e dei propri diritti di lavoratori. Il nostro essere fantasmi, come spesso accade tra i precari, si caratterizzava inoltre, nell’avere pochi diritti in confronto a quanto invece riconosciuto ai colleghi iscritti al ruolo. Per esempio, per coloro che rivestivano la posizione di tecnici: niente automobili di servizio per eseguire i propri compiti (sopralluoghi nei vari cantieri disseminati lungo la città) e auto propria, senza rimborsi carburante ecc..; niente telefono cellulare per coordinare i custodi e gli operai (telefono indispensabile, sempre a spese nostre); in molti casi nessun ufficio e nessuna scrivania sul quale espletare le varie pratiche amministrative (compilazione liste paga dipendenti, compilazione libro giornaliero dei lavori, compilazione libro carico/scarico materiali ecc...); niente computers, ovviamente; niente corsi di formazione o di aggiornamento tecnico, niente straordinario. Per i colleghi che ricoprivano la posizione di custodi e/o operai spesso era anche peggio: niente bagno per espletare i propri bisogni fisiologici nei cantieri di custodia all’aperto, e spessissimo neanche un tetto dove ripararsi dalle intemperie.
Se eri fortunato, dopo un contratto a termine lungo sette/otto mesi potevi avvantaggiarti di una proroga di sei o sette mesi, oppure di un solo mese nel più sfortunato dei casi.
Relativamente alla mia personale esperienza, devo ammettere che dopo la scadenza del mio primo rapporto di lavoro con il Comune di Cagliari. intercorso tra il 1994 e il 1996, non avevo nessuna speranza di essere richiamato per un nuovo contratto, infatti furono quelli gli anni, i più cupi della mia vita di precario. Al di fuori dell’amministrazione pubblica, a parte delle collaborazioni completamente in nero, non riuscivo a trovare nessuna alternativa che potesse garantirmi un reddito dignitoso, e al problema si aggiunse anche quello della mia famiglia. Infatti, nel 1995 mi sposai e nel 1997 nacque mia figlia Camilla di cui sono orgogliosissimo. Insomma, il tempo passava e dal comune non arrivava nessuna chiamata, nonostante fossi il primo della graduatoria degli assistenti di cantiere periti industriali. Non sapevo più come fare per sbarcare il lunario, oltretutto anche mia moglie dopo dieci anni di lavoro trascorsi senza contratto in un laboratorio di analisi chimiche della facoltà d’ingegneria idraulica dell’università di Cagliari, aveva cessato definitivamente il suo rapporto lavorativo. Si aprivano dunque, le strade dell’emigrazione verso l’estero. Essendo nel frattempo diventato piuttosto bravo con l’informatica, optammo per l’Olanda. Non era affatto difficile trovare lavoro di buon livello ad Amsterdam, oltretutto io conoscevo abbastanza bene la città per averla gia visitata qualche anno addietro, anche se il mio inglese non era più scintillante come il caso richiedeva, oltretutto la presenza di una bambina piccolissima non facilitava le cose, e cosa più grave, trovare un appartamento per consentirci di vivere da subito tutti e tre in città, era un impresa incredibilmente ardua.

Cosi tornammo a Cagliari, e mentre mi apprestavo a ripartire, questa volta da solo, denari esigui e morte nel cuore, alla ricerca di un buco in cui vivere, arrivò la chiamata salvifica del Comune dopo quattro anni di assoluto silenzio.
Da quel momento, dal gennaio 2000 al febbraio 2007, riuscì di nuovo a lavorare, seppure in maniera discontinua, nei cantieri tecnici dell’Amministrazione Comunale della mia città. Naturalmente i problemi erano sempre gli stessi e i contratti sempre a tempo determinato e con il maledetto timore di passare altri quattro o più anni senza chiamate. E’ vero, sul nostro lavoro si reggevano interi uffici pubblici e comparti tecnici visto che ormai erano passate innumerevoli finanziarie senza che fosse stato effettuato un solo concorso e una sola assunzione, e intanto il personale in ruolo andava in pensione….
Frattanto, il centro sinistra vinceva le elezioni e la finanziaria nazionale 2007, prevedeva che tutti coloro che avessero prestato servizio nelle P.A. per almeno 36 mesi negli ultimi cinque anni, dovessero essere avviati verso la stabilizzazione. Ma questa era per noi precari, solo una speranza.
IL pomeriggio del 24 gennaio, all’uscita dal lavoro mi giunse un passaparola: “stasera riunione al consiglio comunale di Via Roma”. Un consigliere di Rifondazione e il segretario territoriale della CGIL ci aspettavano già li nel pianerottolo al terzo piano, eravamo una trentina, tutti molto curiosi ma del tutto ignari di quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Si andava reclamare la stabilizzazione del posto di lavoro. Ma tra noi, non tutti conoscevano la nuova finanziaria nel merito, ci fu un baccano temendo perché gli uscieri si opponevano al nostro tentativo d’ingresso, volevamo un incontro con il sindaco per parlare del nostro futuro, ma il sindaco era assente, cosi dopo un’ora di caos, urla e fischi il vicesindaco acconsentì di parlare con noi. Ci disse che avrebbero fissato un consiglio comunale per discutere il nostro caso e si accomiatò. Da quel giorno in poi, le riunioni al sindacato si moltiplicarono e pian piano prendemmo sempre più coscienza delle nostre possibilità e della nostra forza. Alle riunioni non eravamo mai meno di cinquanta. Fu in una di queste assemblee che m’accorsi del pericolo di una spaccatura tra gli assistenti di cantiere e gli altri lavoratori con mansioni più basse, specialmente con quelli tutelati da delibere di garanzie. Così cominciai a cercare di tenere uniti i miei colleghi coinvolgendoli maggiormente in tutte le iniziative concordate con il sindacato e facendomi anche carico di tenerli continuamente aggiornati su quanto accadeva. Infatti i colpi di scena erano sempre in agguato: - dapprima le dichiarazioni programmatiche del Sindaco che sostenevano la stabilizzazione di alcuni precari; poi lo stesso Sindaco che annunciava il clamoroso buco dei conti in bilancio; poi la finanziaria nazionale che impediva a tutti i Comuni che avessero violato il patto di stabilità di assumere nuovi lavoratori e quindi di stabilizzare i precari; infine l’assessore al personale che convocava i sindacati confederali per proporre un albo dei lavoratori da assumersi eventualmente dalle aziende fornitici di servizi per il comune di Cagliari.- Intanto sia io che i miei colleghi ci sentivamo come immersi in una sorta di incubo surreale: un temibile orco ci porgeva continuamente la bistecchina agognata, ma al momento della ferrata se la riprendeva.

Il 26 febbraio 2007, con la legge n. 17 entrò in vigore il "Decreto Milleproroghe" che tolse tutti quanti da ogni imbarazzo e affrancò il comune di Cagliari da tutte le sanzioni comminate sino a quel momento per la violazione del patto di stabilità. Basta alibi e fine dei capziosi disegni politici. Sarebbe stato possibile assumere e stabilizzare i precari, infatti i lavoratori interessati erano lì, sotto il palazzo comunale, ogni santo giorno a ribadirlo. Ma non sarebbe stato tanto facile. E Il tempo volava. Il 20 aprile 2007, durante il primo consiglio comunale in cui avemmo l’occasione di presenziare, i consiglieri di maggioranza si alternarono dal pulpito sostenendo che i precari in seno all’amministrazione Comunale, non erano più di tre. In un baleno scoppiò un putiferio, noi lavoratori esasperati per la lunga ed inutile attesa sulle tribune della sala consiliare tirammo fuori gli striscioni di protesta e il presidente del consiglio sospese la seduta. Gli animi si scaldarono, il malcontento si fece veemente ed intervennero i Vigili Urbani. Il piazzale al di sotto era ormai brulicante di precari, volarono urla e il nervosismo aumentava a dismisura. I più erano ormai decisi ad occupare il municipio per tutta la notte. Ad un certo punto la tensione salì al limite, sfilarono via gli assessori in cerca di ritirata, allora un collega esasperato, inscenò un battibecco con l’assessore del personale che reagì verbalmente, intervenne quindi il nostro rappresentante sindacale, fatto che, incredibilmente portò a rasentare lo scontro fisico con l’assessore. Fortunatamente gli animi sembrarono placarsi e ci si avviò tutti intorno ad un tavolo per chiarirsi rapidamente le idee. In quella occasione l’assessore competente mise sul tavolo la disponibilità della giunta a trattare con le parti per stabilire un percorso di stabilizzazione ma solo a vantaggio degli aventi i requisiti previsti dalla legge finanziaria nazionale 2007. Ciò nonostante, tra assessorato e sindacato s’instaurò un indefesso briciolo di rancore. Da quel momento in poi ebbi, grazie all’invito del segretario territoriale della cgil fp, il piacere di assistere come auditore a tutte le contrattazioni tra la parte pubblica e i sindacati confederali. Tuttavia la situazione non parve volersi sbloccare. Il consiglio comunale proseguiva nel tentativo di eludere le nostre aspettative e l’opinione pubblica nel rimanere all’oscuro di quanto accadeva. Così, per esortare il Consiglio Comunale a deliberare una dichiarazione d’intenti a voler stabilizzare tutti gli oltre cento precari, occorse l’ennesima manifestazione da parte dell’ormai foltissimo gruppo di lavoratori e delle loro famiglie, e il 24 aprile decidemmo, nel bel mezzo di una noiosissima ed auto-indulgente riunione della giunta comunale, di fare irruzione nell’aula consiliare. Tensione alle stelle, spinte, urla, svenimenti, ambulanza e vasi rotti, con i vigili urbani che si ersero ad estremo baluardo della porta del palazzo. Sopraggiunsero pure quattro volanti della polizia, un vero inferno. Il giorno dopo la vicenda finì su tutti i giornali, altresì ne parlarono anche le televisioni, ed il consiglio comunale non poté più esimersi dal deliberare un documento unitario che sancì l’avvio alla stabilizzazione graduale di tutti i precari dei cantieri e non, nell’ambito del piano triennale di assunzioni. Era il 26 aprile. Quel giorno stesso, si concludeva a Cagliari nello spiazzo di fronte al Bastione S.Remy, la marcia per il lavoro organizzata da Rifondazione alla presenza di Franco Giordano (andammo pure ad incontrarlo all’aeroporto) che esortava l’amministrazione comunale a concludere al più presto l’iter della nostra stabilizzazione. E noi eravamo tutti lì sotto ad applaudire.
Il 31maggio il provvedimento fu approvato col nome di sub emendamento bilancio precari, inscritto in bilancio e votato all’unanimità.
Con le successive contrattazioni sindacali tenute nell’arco di due mesi, si concluse infine la vertenza con l’annuncio della pubblicazione del bando di concorso che porterà in tre anni circa centoventi lavoratori precari ad essere stabilizzati nel Comune di Cagliari.
E’ giunto il mese di ottobre, il bando è scaduto a settembre, le procedure selettive non sono state ancora espletate e per adesso siamo ancora tutti precari...ma soddisfatti, memori di aver lottato insieme per un comune e sacrosanto diritto. Il 20 ottobre grazie all’associazione “Io Precario” Sardegna, di cui faccio parte, gran parte di noi sarà a Roma per la grande manifestazione per il lavoro ad urlare ancora: “BASTA INGIUSTIZIE, IL LAVORO E’ UN DIRITTO, NO AL PRECARIATO”!

IO PRECARIO manifestazione 20/10/2007

E' arrivata una nave coloratacontro il «grigio» del governo L'intero traghetto della Tirrenia è stato occupato ieri dalla delegazione della Sardegna. Una nottea discutere ma anche e soprattutto a scherzare, a ballare, a bere. «Perché la noia è nemica della politica»


Stefano BocconettiOlbia Nostro inviatoLa somma che non ti aspetti. Forse perché quando ci sono di mezzo le persone e le loro storie, le "regole" seguono altre strade. Non certo quelle matematiche. Ed eccola, allora, questa addizione. Comincia la sera, la sera tardi al porto di Olbia. Fra poco partirà la nave per portare a Roma, alla manifestazione di San Giovanni, la delegazione della Sardegna. Le due cose, comunque, coincidono: nave e delegazione. Perché tranne tre cabine assegnate ai ragazzi della Nuorese calcio che vanno a giocare una partita con la Roma allievi, per il resto il traghetto è riempito solo da bandiere, da striscioni, dai colori e dai ritmi di chi domani andrà in piazza. Duemila e settecento persone. Per primi, al porto, arrivano i precari: in due minuti, solo loro, invadono l'enorme sala degli imbarchi. Srotolano il loro striscione. C'è scritto semplicemente: «Io precario». In Italia è la condizione che riguarda il dieci, dodici per cento del lavoro, qui è il doppio. Ed è il primo disagio che racconta questa delegazione. Che si somma a quello dei pensionati, degli anziani. Il grosso di quel venti per cento di famiglie che in Sardegna vive sotto il livello di povertà. Loro non hanno striscioni, al massimo qualche bandiera. Ma sono un "pezzo" importante di questa delegazione. Intanto, son le undici di sera, i pullman da Sassari, dall'Ogliastra, da Cagliari, da Alghero continuano ad arrivare. E portano il racconto di altri disagi. Cresciuti dopo un anno e mezzo di governo del centrosinistra. Ed eccoli i ragazzi e le ragazze gay e lesbiche di Cagliari. Coi quattro mori della bandiera sarda. E ci sono le donne. Poi quel piccolo gruppo di operai della Legler di Ottana. Che raccontano un "disagio" ancora diverso: quello di chi vorrebbe che lo Stato non si limitasse a distribuire soldi, tanti soldi alle imprese, in cambio di nulla. Neanche uno straccio di piano industriale. Si potrebbe continuare per centinaia di righe. Anche perché, nel frattempo, ormai il piazzale del porto è diventata un'enorme "piazza" stracolma di persone, di giovani, ragazze. E di tanti militanti della sinistra. Che raccontano di un disagio ancora più particolare, difficile anche solo da descrivere. Quello di chi deve provare a convincere le persone, quelle che incontrano tutti i giorni, che c'è ancora una chances per questo governo. Nonostante quest'anno e mezzo. La somma di tutto ciò dovrebbe portare ad un risultato scontato. Almeno se valessero i criteri della politica "normale". Dovrebbe esserci rabbia, delusione. Slogan duri. Di quelli che servirebbero ad alimentare le polemiche sul significato della manifestazione del 20 ottobre per almeno una ventina di giorni. Ma non è così. La somma di questi mille disagi diversi dà semplicemente una nave piena di festa. Di bandiere, di storie. Come se contro il grigiore di un governo che arranca su tutto, una spinta potesse venire anche da queste voci. Da questi canti. Da questi racconti. Che comunque il cronista deve raccogliere in poco tempo. Diciamo tre quarti d'ora, un'ora al massimo. Sì, perché è come se ci fosse un "patto" non scritto fra queste quasi tremila persone: si parte alle 23 e 30 esatte e il tempo da dedicare alla politica, alle discussioni è limitato. Un'ora appunto. Poi, si vuole pensare ad altro. A dormire, invece, non ci pensa nessuno. Così appena lasciato Olbia, e mentre gli addetti dell'equipaggio si arrendono e smettono di assegnare posti e cuccette che tanto sono esaurite da tempo, scopri che da queste parti quasi non esistono le risposte scontate. Davanti ai microfoni o davanti ai taccuini dei cronisti, nessuno se la cava con il facile: «Veniamo per far rispettare il programma» o simili. Chiunque dica la sua ci mette un pezzetto, qualcosa in più. E scopri allora che i tanti disagi della Sardegna, da tempo la sinistra ha provato a metterli assieme. In quella che Michele Piras, il giovane segretario regionale di Rifondazione, chiama la «vertenza per l'articolo 13». Dello Statuto della Sardegna, che essendo una regione a statuto speciale ha rilievo costituzionale. Sembra il classico titolo per una discussione nei salotti tv. Eppure tutti qui sanno cosa significhi. Insomma, la sinistra vuole imporre, anche attraverso una norma della statuto, un progetto per far rinascere la regione. Una progetto che la sinistra vuol fare vivere chiedendo al governo di metterci i soldi e alla Regione di metterci i progetti. Altrove, con un po' di pressapochismo, lo chiamerebbero tradizionalmente un piano di sviluppo. Ma qui, quella parola non la usa nessuno. Qui, quella parola - «sviluppo» - è già diventata una «brutta parola». Loro pensano ad una crescita completamente diversa da quella fino ad ora conosciuta. Parlano di una «rinascita» senza cemento, senza raffinerie. Parlano di una nuova economia. Quella che un anziano pescatore- così ti raccontano in nave -, un semplice, anziano pescatore ha definito in un'assemblea pubblica: la «rinaturalizzazione» della Sardegna. Questo, anche questo sono venuti a chiedere al centrosinistra che hanno votato. Ma stavolta forse non conta tanto "cosa" hanno chiesto. Quanto chi è venuto a chiedere. E allora ti accorgi che la sinistra - dispersa, in difficoltà, in una drammatica difficoltà alle prese con un problema gigantesco che si chiama il governo assieme ad una coalizione -, ti accorgi che questa sinistra è ancora una parte rilevante della società. Sicuramente è un pezzo rilevante della Sardegna. Perché sul ponte, sdraiati dappertutto, comprese le "terrazze" esterne delle nave dove comincia a fare un freddo pungente, c'è il popolo. Le persone, la gente. Anche qui: certo è un popolo diverso da quello dell'inconografia ufficiale della sinistra. Ci sono anche due minatori del Sulcis, con tanto di elmetto che usavano quando lavoravano, ora sono in cassa integrazione. E con un pizzico di orgoglio ricordano che furono proprio loro, i minatori, a dar vita al primo corteo dell'opposizione durante il primo governo Berlusconi. E si parla del 1994. Ma appunto sono due. Il grosso della nave è fatto di tante altre cose. Le più diverse. E' fatto dagli insegnanti, dai tecnici dell'Ogliastra. E' fatta da persone che hanno strani contratti di lavoro e devono utilizzare anche queste ore per ultimare i progetti. Così vedi, lì nell'angolo nella sala ristorante, quei tre ragazzi che, davanti ad un pc portatile, continuano a progettare uno strano arnese. Un nuovo tipo di tubo di scappamento per moto. E' il loro lavoro. così scopri quel ragazzo, Saverio, che fa lo studente di medicina a Cagliari. E che ti racconta di aver partecipato , anche lui, alle primarie del piddì. Quelle perse dal governatore Soru. E basta una battuta per infiammare la discussione. A cui partecipano in contemporanea venti, trenta persone. Ognuno con una tesi. Anche se alla fine un'idea sopra le altre viene fuori. Quella per cui il Governatore ha perso le elezioni del 14 ottobre in Sardegna - il segretario del democratici sardi sarà Antonello Cabras, fino a ieri dirigente nazionale dei diesse - perché contro di lui si sono mobilitati gli apparati dei partiti. Dei diesse e della Margherita. Perché contro di lui si sono mobilitate quelle forze economiche colpite dalle scelte del Governatore. Che da tempo ha deciso di lavorare perché il vecchio capitalismo sardo - quello che non riesce a vedere al di là dei mattoni, delle speculazioni - venga sostituito da nuove forze imprenditoriali. Più dinamiche. Le primarie sono servite, insomma, a mandare un segnale a Soru. Saverio per questo è andato a votarlo nel gazebo sotto casa. Ma è stato l'unico o quasi. E forse parlavano proprio di lui i giornali locali quando hanno scritto di un "soccorso rosso" arrivato a sostegno del Governatore. In una competizione giocata comunque con armi non sempre pulite. E' stato l'unico, o quasi, anche perché con Soru il rapporto della sinistra non è lineare. Lo apprezzano per tante scelte, lo contestano per altre. Per dirla col capogruppo di Rifondazione in Regione, Luciano Uras, Soru andrebbe benissimo, se solo avesse anche un'anima. Un'anima sociale.Ma ormai il tempo per la politica sta per scadere. Nell'altra sala un improvvisato "dj" sta già allestendo le sue apparecchiature, un paio di potentisime casse acustiche. La nave comincia a fare musica da tutte le parti. Ma anche qui: la musica è un po' lontana dagli stereotipi a cui si è abituati in queste situazioni. C'è, è vero, anche chi si siede in cerchio e intona l'antica «Contessa». La suona alla chitarra una ragazza di Alghero, tutta piercing e orecchini. Ma ha un sapore diverso dal solito, è più ritmo che parole. Comunque, la colonna sonora della nave è fatta da altro. E' fatta dal reggae, dal reggae italiano. Sud Sound System, Bracco, e tanti altri gruppi che cantano in sardo. Coi loro cd si balla. Ballano tutti. Di più: la colonna sonora è fatta dalle improvvisazioni di decine di ragazzi e ragazze. Che ballano e cantano, cambiando i testi delle canzoni. Per raccontare microstorie di altrettanto piccole comunità. O anche semplicemente per chiamare i nomi dei loro amici e ridere. Tanti ragazzi, tante ragazze. Mai così tanti, così tante. Ma ormai è inutile chiedere loro qualcosa di più. «Basta, sempre la stessa domanda. Che noia i giornalisti». Ridono e sventolano le bandiere. Le più strane. C'è quella catalana, quella brasiliana, quella della Giamaica. C'è quella della pace, sventolata ritmicamente da un gruppo di migranti. C'è la bandiera del Ghana che non ha alcun valore simbolico ma è bella, verde, giallo e rossa, con al centro una grande stella. E soprattutto è la bandiera del paese di quel ragazzo che la agita. Ma va bene così. C'è tutto questo, e c'è anche tanto, tanto vino. Tanta allegria. Un po' di marijuana ma meno di quanto uno possa immaginare. Tanti balli, un po' di fisarmonica. Tante parole. No, non quelle degli slogan. Piuttosto sono quelle di quel gruppetto di ragazzi omosessuali, giovanissimi. Diciassette, diciotto anni. Uno di loro, Oliviero, era troppo piccolo l'anno scorso per votare alle politiche. Ma se possibile è ancora più deluso degli altri. Perché non ha fatto in tempo a dare una delega a Prodi, all'Unione. La difesa dei suoi diritti l'aveva delegata ai suoi amici, ai suoi compagni di università, ai giovani comunisti. Perché "vigilassero" sul rispetto degli impegni. Non l‘hanno fatto, meglio: non l'hanno fatto a sufficienza. O almeno così gli sembra. Perciò è molto amareggiato. Un'amarezza che diventa subito però, anche per lui, voglia di ballare,di cantare, di scherzare. Ormai è l'alba, Civitavecchia è una lunga distesa di luci. Le prime luci dopo una notte in un mare nerissimo. Sul molo, alle sei e venti, ad aspettare questa delegazione c'è Franco Giordano. Volto un po' stanco ma quando scende dal traghetto questo fiume di persone, passa tutto. Tanti gli stringono la mano, lo salutano, con una battuta ricordano qualche vicenda passata assieme al segretario del loro partito. Lo salutano con calore anche quel gruppo con le bandiere del Pdci, coi quali, magari, anni fa ci furono scontri duri. Ma tantissimi, i più, si fermano e colgono l'occasione per presentarsi. «Ciao sono Ivan», «sono Romina» - la più giovane assessore regionale d'Italia-, «Angelo», «Stefania» e via così. Si presentano, non lo conoscono di persona. Per molti di loro, insomma, sembra essere la prima occasione di contatto con la politica. Con la sinistra. E se è così, allora il 20 ottobre ha già vinto.21/10/2007

IO PRECARIO

Storie di sardi precari alla manifestazione di Roma
Hanno viaggiato per centinaia di chilometri in pullman e una notte in nave, gli oltre duemila sardi che ieri hanno partecipato alla manifestazione contro il precariato. Ecco la stroria dei sardi che hanno partecipato alla manifestzione sul welfare e contro il lavoro precario.

Da RomaLucio SalisAd attenderli, nel porto di Civitavecchia, hanno trovato il segretario generale di Rifondazione comunista Franco Giordano e il capogruppo alla Camera dei deputati Gennaro Migliore. «E' un fatto straordinario - dice Giordano - che migliaia di sardi siano venuti a Roma per sollecitare un salto di qualità nella politica economica del Governo. Devo confessare che mi hanno commosso». E Migliore ha aggiunto: «Mi hanno provocato un'emozione che non dimenticherò mai». Dietro la mobilitazione di quei sardi (guidati dal deputato Luigi Cogodi e dal consigliere regionale Luciano Uras) ci sono autentici drammi del lavoro, storie di precarietà, che ognuno di loro ha portato, come testimonianza, alla manifestazione. DA BORORE. Carlo Gosamo, 34 anni, di Borore ha illustrato la situazione dei 1200 cassintegrati della Legler dal palco di piazza san Giovanni. «In una regione spopolata e senza alternative come la Sardegna - ha detto - perdere 1200 posti di lavoro è come chiudere la Fiat in Piemonte. Con in più l'amarezza di vivere da soli il nostro dramma, perché dal punto di vista mediatico non esistiamo». Prima di approdare alla Legler, Gosamo aveva avuto un'esperienza di lavoro, di due mesi, in una delle tante industrie truffa di Ottana. Oggi attenua l'amarezza della cassa integrazione suonando nel gruppo rap "Balentia", di Mogoro. DA CAGLIARI. Ma la precarietà non riguarda solo i più giovani. Sulenna Tronci, operatrice socio sanitaria, è una signora che è stata licenziata dopo 18 anni di lavoro, dalla Casa di cura Lay, di Cagliari. Con lei, altre 97 persone, alcune con trent'anni di anzianità. «Improvvisamente, anche la mia vita è diventata precaria, Ho dovuto fare i conti per arrivare alla fine del mese, temere di non poter pagare il mutuo. E spiegare a mia figlia che le cose erano cambiate. Ma lei, fortunatamente, ha capito». Carlo, 37 anni, geometra, fidanzato, vorrebbe sposarsi ma non può «nessuna banca concede un mutuo a un precario». Dal 2000, infatti, lavora come precario al Comune di Cagliari. Ha già avuto cinque contratti l'ultimo, di 5 mesi, per la pulizia della spiaggia del Poetto. «Ma ho colleghi che sono precari da vent'anni». Quella del lavoratore saltuario è una condizione esistenziale diffusissima. E la legge Biagi sembra averla consacrata. Aziende ed enti pubblici ormai assumono raramente a tempo indeterminato. Mauro Atzei, 41 anni, perito industriale, di Cagliari, è sposato e ha una figlia. Da 14 anni lavora al Comune, dove ha collezionato già 14 contratti di circa 7 - 8 mesi ciascuno. Ha perfino fondato un'associazione: Io precario. «Siamo in 600». Obiettivo: studiare soluzioni per stabilizzare i posti di lavoro «ma le ultime norme approvate dal Governo peggiorano la situazione». DA NUORO. Da Cagliari a Nuoro, la musica è sempre la stessa. Marco Alberto Soru, 32 anni, di Orani, diplomato all'istituto professionale agrario, nel 2002 è stato assunto all'Ispettorato forestale, nel settore antincendi. Durata del rapporto di lavoro: un anno. Successivamente, è passato, come operaio, all'Ente foreste: «Vengo regolarmente assunto il primo maggio e licenziato il 31 ottobre. Come me tanti altri. C'è chi lavora da precario anche da venticinque anni. E alcuni vanno persino in pensione senza mai avere avuto un posto di lavoro definitivo». Possibilità di essere stabilizzato? «Solo a parole, ce lo hanno promesso tante volte, ma andiamo sempre incontro a una nuova delusione. Ora ci hanno detto che il problema sarà risolto nel 2008. Chissà».

mercoledì, ottobre 24, 2007

Alla cortese attenzione di tutte le lavoratrici e lavoratori con contratti atipici.

Per richiesta della Funzione Pubblica CGIL di Cagliari, il giorno 17 Ottobre u.s. si è svolto l’incontro con l’Amministrazione Provincia di Cagliari, rappresentata dal Direttore Generale Ing. Abramo Garau e dal Dirigente del Personale Dott. Marco Cabras.
All’ordine del giorno la discussione riguardo alla situazione dei lavoratori precari dell’Amministrazione Provincia di Cagliari, alla luce della nuova proposta della finanziaria Nazionale attualmente oggetto di discussione in Consiglio dei Ministri.
Premesso che in data lunedì 15 ottobre 2007, alcuni lavoratori atipici si sono presentati in Consiglio Provinciale denunciando il loro status e chiedendo garanzie future, si è riusciti ad ottenere l’apertura di una discussione politica all’interno del Consiglio Provinciale. Nei prossimi giorni dovrà essere messo all’ordine del giorno del Consiglio Provinciale la discussione sui lavoratori precari.
Lo stesso giorno il Presidente della Giunta Provinciale (Graziano Milia), incontrando i lavoratori, ha dato garanzie sulle volontà dell’Amministrazione Provinciale sull’apertura di concorsi pubblici, con il riconoscimento del periodo lavorativo, mettendo sullo stesso piano tutte le tipologie di contratto atipico senza nessuna distinzione tra contratti di serie A e serie B.
Il giorno 17 ottobre, il Dott. Cabras ha confermato la volontà dell’Ente di trovare una soluzione al problema che prevede diversi passaggi:
1. Attendere l’approvazione della legge finanziaria 2008, una prima lettura, a parte gli emendamenti, sarà possibile averla già a partire dal prossimo mese di Novembre.
2. Definizione della pianta organica dell’Ente Provincia, sulla quale gli uffici dei vari settori stanno già lavorando.
3. Proroga di tutti i contratti dei lavoratori precari fino al 31.12.2008. saranno prorogati sia i contratti in scadenza nel 2007 sia quelli che scadranno nel 2008.
4. Entro il 2008 attivazione delle procedure concorsuali per coprire i posti vacanti in pianta organica.
Questa è sicuramente una base di partenza, la Funzione Pubblica Cgil, continuerà in questi giorni la dialettica intrapresa con l’Amministrazione Provinciale.
Crediamo che non bisogna aspettare le difficoltà che sta manifestando nelle sue bozze la prossima finanziaria nazionale, ma bisogna applicare per intero l’attuale finanziaria nazionale all’articolo 1 comma 560: “Per il triennio 2007-2009 le amministrazioni di cui al comma 557, che procedono all’assunzione di personale a tempo determinato, nei limiti e alle condizioni previste dal comma 1-bis dell’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n°165, nel bandire le relative prove selettive riservano una quota non inferiore al 60 per cento del totale dei posti programmati ai soggetti con i quali hanno stipulato uno o più contratti di collaborazione coordinata e continuativa, elusi gli incarichi di nomina politica, per almeno la durata complessiva di almeno un anno raggiunta alla data del 29 settembre 2006”.

martedì, ottobre 16, 2007

provincia di cagliari---precari in lotta

Oggi siamo qui per dire basta al precariato



Da oltre 10 anni, l’Amministrazione Provincia di Cagliari, si avvale della collaborazione di lavoratrici e lavoratori precari con le più svariate formule contrattuali che riconducono alla legge 30, co.co.co., co.co.pro., interinale, partita iva ecc…ecc..

In questo periodo abbiamo acquisito una rilevante professionalità e contribuito ad aumentare gli standard qualitativi dell’Amministrazione Provinciale. Come se non bastasse, a seguito del trasferimento di nuove compiti e funzioni, ai sensi della L.R. n. 9/2006, sono aumentate le competenze dell’Ente con conseguente aumento del carico di lavoro.

Inoltre alcuni servizi indispensabili sono gestiti quasi interamente da noi, personale precario stante la carenza di personale a ruolo con alte professionalità.

Considerato l’orientamento oggi prevalente a livello nazionale e regionale verso la stabilizzazione dei lavoratori precari e tenuto conto del vs. programma elettorale presentato ad inizio legislatura, chiediamo l’apertura di un dibattito consiliare che indirizzi la Giunta alla stabilizzazione di tutti noi lavoratori precari con procedure concorsuali pubbliche.




Cagliari, 15 ottobre 2007
Lavoratori atipici Provincia Di Cagliari