venerdì, agosto 25, 2006

Atesia: un caso, non ancora la regoladi Paola Zanca La guerra dei call center sembra essere solo alla prima battaglia. Dopo il verdetto dell’ispettorato del lavoro che imporrebbe ad Atesia l’assunzione di tremila dipendenti e il pagamento dei contributi per altri diecimila, quella che era stata salutata come un inizio di vittoria per le migliaia di lavoratori occupati nel più grande centralino d’Italia, sta ora diventando una vicenda molto più che simbolica. E scatena la querelle tra chi ritiene preferibile una soluzione di compromesso, a cui giungere con tavoli di confronto, trattative e con un forte ruolo del sindacato, e chi invece ha piena fiducia nelle decisioni dell’Ispettorato e non vuole cedere al ricatto imposto dai vertici dell’azienda. Sì, perchè la risposta arrivata per voce di Alberto Tripi, presidente del gruppo Almaviva-Cos, cui fa capo Atesia, com’era prevedibile, è stata netta: l’ipotesi assunzione apre la strada al licenziamento e alla delocalizzazione, soprattutto se il verdetto dell’ispezione dovesse ricadere solo sul call center di Cinecittà, provocando una distorsione del mercato che vedrebbe comunque continuare tutti gli altri outsourcer - le società che gestiscono i call center per le grandi aziende e che effettuano ricerche di mercato - sulla via della precarietà.Il primo effetto dell’ispezione, dunque, lungi dall’essere l’assunzione, su cui ora dovrà pronunciarsi il Tribunale del Lavoro, è la sospensione degli accordi sindacali che l’azienda aveva stipulato tempo fa e che prevedevano, almeno a quanto dichiarato dallo stesso Tripi, l'assunzione a tempo indeterminato di 3 mila collaboratori entro la fine del 2006. Un ricatto occupazionale a tutti gli effetti, denunciano sindacati e lavoratori, che fa ricadere tutto il rischio d’impresa sui lavoratori.Il Nidil, l’organismo della Cgil che tutela gli atipici, condanna da tempo il comportamento scorretto del gruppo Almaviva-Cos, ed in particolare il dumping che Atesia da anni perpetra a danno delle «aziende serie»: tre anni fa un accordo stipulato dai sindacati con AssoCallcenter, organismo della Confcommercio, aveva portato all’assunzione di 4 mila lavoratori precari ed altre garanzie per chi era rimasto lavoratore parasubordinato. Aziende serie, che però sono state letteralmente messe fuori mercato, sconfitte ad ogni gara d’appalto perchè non competitive rispetto a colossi come Almaviva-Cos, che è sempre riuscita a proporre prezzi più bassi. La ragione, manco a dirlo, è tutta lì, sulle spalle dei lavoratori a cottimo, perennemente in attesa del "contatto utile". Insomma, sintetizza in rima Davide Imola del Nidil: «Più abusi fai, più commesse hai».Per questo il Nidil-Cgil ora chiede l’apertura urgente di un tavolo trilaterale, a cui partecipino sindacati, aziende e governo. La proposta è essenzialmente una: ridurre il cuneo fiscale, abbassare il costo del lavoro e dare così alle aziende un incentivo ad assumere. Perchè il problema, si sa, è tutto lì: «Il costo aziendale per l'impiego orario di un addetto in outbound – spiega Marco Durante, consigliere di AssoContact, l’associazione nazionale dei contact center – è di circa 10,50 euro per il personale co.co.pro, a fronte di una somma oraria di 15-17 euro per un operatore dipendente».Restano comunque da ricordare gli utili da capogiro che Atesia pubblicizza, i 300 mila contatti quotidiani che riceve, nonchè il suo probabile prossimo ingresso a Piazza Affari.Un vero e proprio intervento sistemico è quello che chiedono i sindacati al governo: la materia è troppo vasta e a rischio trappole per potersi permettere di procedere a piccoli passi, serve subito una riorganizzazione complessiva dell’intero settore. Una strategia che permetta alle aziende di restare sul mercato senza cancellare quelle garanzie a cui ogni lavoratore ha diritto, dalla tutela della maternità all’assicurazione sugli infortuni, dalla possibilità di avere accesso al credito al poter sperare ad una pensione in un domani. «I diritti sociali – ammonisce la Nidil – non possono diventare la discriminante tra due lavoratori che svolgono le stesse mansioni e hanno solo forme di contratto diverse».

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