giovedì, ottobre 25, 2007

legge 30------io precario

Legge 30. La precarietà del sociale e di chi ci lavora
Nella cooperazione sociale gli interinali crescono del 159%. Condanna dell'ONU


di Francesco Piobbichi*

Anche l’Onu si è accorta che la legge 30 deve essere superata. Non lo dicono quindi quelli che il 20 sfileranno contro la precarietà, ma l’Agenzia per il lavoro dell’Onu ( ILO ) che ha convocato il governo italiano per ascoltarlo dato che le forme di precarietà esistenti nel nostro paese sono in contrasto con la convenzione 122 del 1971. Convenzione che obbliga gli stati che l’hanno sottoscritta a realizzare un’impiego pieno, produttivo, liberamente scelto per i lavoratori. La commissione dell’ILO composta da una ventina di giuslavoristi in poche parole ha bocciato l’operato del Governo Berlusconi in tema di lotta alla precarietà e rimandato a settembre il Governo attuale ( Fioroni compreso ). Si dirà che una commissione dell’Onu poco conta in tempi in cui si vogliono far contare di meno i programmi elettorali, ma questa notizia fa il paio con un’altra uscita pochi giorni prima riguardante uno studio dell’ISTAT sul terzo settore che andrebbe analizzata con una certa attenzione.
Nella cooperazione sociale gli interinali crescono del 159% in 2 anni, mentre la maggioranza assoluta delle cooperative sociali (65,9%) continua a registrare entrate di origine prevalentemente pubblica. Ciò vuol dire, con tutti i rischi della semplificazione, che i comuni italiani in questo breve periodo, hanno esternalizzando i propri servizi sociali utilizzando prevalentemente forza lavoro precaria. E’ del tutto evidente che la precarizzazione dei servizi sociali, porta con sé un doppio decadimento, che coinvolge sia chi il servizio lo fa ( l’operatore sociale che ha tempi, salari, diritti sempre più ridotti), sia chi il servizio lo riceve (l’utente, che riceve i servizi con personale sotto stress). Ma non c’è solo questo, in una società sempre più spaventata e frammentata, dove la risposta al disagio sociale viene cancellata sotto il refrain delle retoriche securitarie, di tutto avremmo bisogno in questo momento tranne che indebolire i reticoli che le politiche sociali possono sviluppare nei territori.
Ogni volta che un contratto a termine non viene rinnovato, si perde un tessuto di relazioni che l’operatore sociale porta con se. Questo tessuto non si riforma nel breve termine, nemmeno se manteniamo in piedi il servizio stesso, perché il lavoro sociale è risorsa preziosa che manifesta i propri effetti nel tempo. Ridurre sensibilmente gli effetti che produce la desocializzazione del lavoro è oggi il punto principale su cui intervenire per rendere più vivibili le nostre città, un processo questo che dal nostro punto di vista deve coinvolgere chiaramente tutte le figure lavorative, ma che diventa ancora più angosciante se i primi a produrlo sono le amministrazioni pubbliche.
Chi lavora in strada a distribuire siringhe sterili, chi porta le coperte nei dormitori, chi va nelle case a fare assistenza agli anziani e ai disabili o chi lavora nella salute mentale, ha bisogno di vedere che al proprio lavoro venga riconosciuta una dignità che oggi non ha, anche per questo occorre scendere in piazza sabato 20 ottobre.


*responsabile politiche sociali Prc-Se

Roma, 16 ottobre 2007

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