giovedì, ottobre 25, 2007

IO PRECARIO manifestazione 20/10/2007

E' arrivata una nave coloratacontro il «grigio» del governo L'intero traghetto della Tirrenia è stato occupato ieri dalla delegazione della Sardegna. Una nottea discutere ma anche e soprattutto a scherzare, a ballare, a bere. «Perché la noia è nemica della politica»


Stefano BocconettiOlbia Nostro inviatoLa somma che non ti aspetti. Forse perché quando ci sono di mezzo le persone e le loro storie, le "regole" seguono altre strade. Non certo quelle matematiche. Ed eccola, allora, questa addizione. Comincia la sera, la sera tardi al porto di Olbia. Fra poco partirà la nave per portare a Roma, alla manifestazione di San Giovanni, la delegazione della Sardegna. Le due cose, comunque, coincidono: nave e delegazione. Perché tranne tre cabine assegnate ai ragazzi della Nuorese calcio che vanno a giocare una partita con la Roma allievi, per il resto il traghetto è riempito solo da bandiere, da striscioni, dai colori e dai ritmi di chi domani andrà in piazza. Duemila e settecento persone. Per primi, al porto, arrivano i precari: in due minuti, solo loro, invadono l'enorme sala degli imbarchi. Srotolano il loro striscione. C'è scritto semplicemente: «Io precario». In Italia è la condizione che riguarda il dieci, dodici per cento del lavoro, qui è il doppio. Ed è il primo disagio che racconta questa delegazione. Che si somma a quello dei pensionati, degli anziani. Il grosso di quel venti per cento di famiglie che in Sardegna vive sotto il livello di povertà. Loro non hanno striscioni, al massimo qualche bandiera. Ma sono un "pezzo" importante di questa delegazione. Intanto, son le undici di sera, i pullman da Sassari, dall'Ogliastra, da Cagliari, da Alghero continuano ad arrivare. E portano il racconto di altri disagi. Cresciuti dopo un anno e mezzo di governo del centrosinistra. Ed eccoli i ragazzi e le ragazze gay e lesbiche di Cagliari. Coi quattro mori della bandiera sarda. E ci sono le donne. Poi quel piccolo gruppo di operai della Legler di Ottana. Che raccontano un "disagio" ancora diverso: quello di chi vorrebbe che lo Stato non si limitasse a distribuire soldi, tanti soldi alle imprese, in cambio di nulla. Neanche uno straccio di piano industriale. Si potrebbe continuare per centinaia di righe. Anche perché, nel frattempo, ormai il piazzale del porto è diventata un'enorme "piazza" stracolma di persone, di giovani, ragazze. E di tanti militanti della sinistra. Che raccontano di un disagio ancora più particolare, difficile anche solo da descrivere. Quello di chi deve provare a convincere le persone, quelle che incontrano tutti i giorni, che c'è ancora una chances per questo governo. Nonostante quest'anno e mezzo. La somma di tutto ciò dovrebbe portare ad un risultato scontato. Almeno se valessero i criteri della politica "normale". Dovrebbe esserci rabbia, delusione. Slogan duri. Di quelli che servirebbero ad alimentare le polemiche sul significato della manifestazione del 20 ottobre per almeno una ventina di giorni. Ma non è così. La somma di questi mille disagi diversi dà semplicemente una nave piena di festa. Di bandiere, di storie. Come se contro il grigiore di un governo che arranca su tutto, una spinta potesse venire anche da queste voci. Da questi canti. Da questi racconti. Che comunque il cronista deve raccogliere in poco tempo. Diciamo tre quarti d'ora, un'ora al massimo. Sì, perché è come se ci fosse un "patto" non scritto fra queste quasi tremila persone: si parte alle 23 e 30 esatte e il tempo da dedicare alla politica, alle discussioni è limitato. Un'ora appunto. Poi, si vuole pensare ad altro. A dormire, invece, non ci pensa nessuno. Così appena lasciato Olbia, e mentre gli addetti dell'equipaggio si arrendono e smettono di assegnare posti e cuccette che tanto sono esaurite da tempo, scopri che da queste parti quasi non esistono le risposte scontate. Davanti ai microfoni o davanti ai taccuini dei cronisti, nessuno se la cava con il facile: «Veniamo per far rispettare il programma» o simili. Chiunque dica la sua ci mette un pezzetto, qualcosa in più. E scopri allora che i tanti disagi della Sardegna, da tempo la sinistra ha provato a metterli assieme. In quella che Michele Piras, il giovane segretario regionale di Rifondazione, chiama la «vertenza per l'articolo 13». Dello Statuto della Sardegna, che essendo una regione a statuto speciale ha rilievo costituzionale. Sembra il classico titolo per una discussione nei salotti tv. Eppure tutti qui sanno cosa significhi. Insomma, la sinistra vuole imporre, anche attraverso una norma della statuto, un progetto per far rinascere la regione. Una progetto che la sinistra vuol fare vivere chiedendo al governo di metterci i soldi e alla Regione di metterci i progetti. Altrove, con un po' di pressapochismo, lo chiamerebbero tradizionalmente un piano di sviluppo. Ma qui, quella parola non la usa nessuno. Qui, quella parola - «sviluppo» - è già diventata una «brutta parola». Loro pensano ad una crescita completamente diversa da quella fino ad ora conosciuta. Parlano di una «rinascita» senza cemento, senza raffinerie. Parlano di una nuova economia. Quella che un anziano pescatore- così ti raccontano in nave -, un semplice, anziano pescatore ha definito in un'assemblea pubblica: la «rinaturalizzazione» della Sardegna. Questo, anche questo sono venuti a chiedere al centrosinistra che hanno votato. Ma stavolta forse non conta tanto "cosa" hanno chiesto. Quanto chi è venuto a chiedere. E allora ti accorgi che la sinistra - dispersa, in difficoltà, in una drammatica difficoltà alle prese con un problema gigantesco che si chiama il governo assieme ad una coalizione -, ti accorgi che questa sinistra è ancora una parte rilevante della società. Sicuramente è un pezzo rilevante della Sardegna. Perché sul ponte, sdraiati dappertutto, comprese le "terrazze" esterne delle nave dove comincia a fare un freddo pungente, c'è il popolo. Le persone, la gente. Anche qui: certo è un popolo diverso da quello dell'inconografia ufficiale della sinistra. Ci sono anche due minatori del Sulcis, con tanto di elmetto che usavano quando lavoravano, ora sono in cassa integrazione. E con un pizzico di orgoglio ricordano che furono proprio loro, i minatori, a dar vita al primo corteo dell'opposizione durante il primo governo Berlusconi. E si parla del 1994. Ma appunto sono due. Il grosso della nave è fatto di tante altre cose. Le più diverse. E' fatto dagli insegnanti, dai tecnici dell'Ogliastra. E' fatta da persone che hanno strani contratti di lavoro e devono utilizzare anche queste ore per ultimare i progetti. Così vedi, lì nell'angolo nella sala ristorante, quei tre ragazzi che, davanti ad un pc portatile, continuano a progettare uno strano arnese. Un nuovo tipo di tubo di scappamento per moto. E' il loro lavoro. così scopri quel ragazzo, Saverio, che fa lo studente di medicina a Cagliari. E che ti racconta di aver partecipato , anche lui, alle primarie del piddì. Quelle perse dal governatore Soru. E basta una battuta per infiammare la discussione. A cui partecipano in contemporanea venti, trenta persone. Ognuno con una tesi. Anche se alla fine un'idea sopra le altre viene fuori. Quella per cui il Governatore ha perso le elezioni del 14 ottobre in Sardegna - il segretario del democratici sardi sarà Antonello Cabras, fino a ieri dirigente nazionale dei diesse - perché contro di lui si sono mobilitati gli apparati dei partiti. Dei diesse e della Margherita. Perché contro di lui si sono mobilitate quelle forze economiche colpite dalle scelte del Governatore. Che da tempo ha deciso di lavorare perché il vecchio capitalismo sardo - quello che non riesce a vedere al di là dei mattoni, delle speculazioni - venga sostituito da nuove forze imprenditoriali. Più dinamiche. Le primarie sono servite, insomma, a mandare un segnale a Soru. Saverio per questo è andato a votarlo nel gazebo sotto casa. Ma è stato l'unico o quasi. E forse parlavano proprio di lui i giornali locali quando hanno scritto di un "soccorso rosso" arrivato a sostegno del Governatore. In una competizione giocata comunque con armi non sempre pulite. E' stato l'unico, o quasi, anche perché con Soru il rapporto della sinistra non è lineare. Lo apprezzano per tante scelte, lo contestano per altre. Per dirla col capogruppo di Rifondazione in Regione, Luciano Uras, Soru andrebbe benissimo, se solo avesse anche un'anima. Un'anima sociale.Ma ormai il tempo per la politica sta per scadere. Nell'altra sala un improvvisato "dj" sta già allestendo le sue apparecchiature, un paio di potentisime casse acustiche. La nave comincia a fare musica da tutte le parti. Ma anche qui: la musica è un po' lontana dagli stereotipi a cui si è abituati in queste situazioni. C'è, è vero, anche chi si siede in cerchio e intona l'antica «Contessa». La suona alla chitarra una ragazza di Alghero, tutta piercing e orecchini. Ma ha un sapore diverso dal solito, è più ritmo che parole. Comunque, la colonna sonora della nave è fatta da altro. E' fatta dal reggae, dal reggae italiano. Sud Sound System, Bracco, e tanti altri gruppi che cantano in sardo. Coi loro cd si balla. Ballano tutti. Di più: la colonna sonora è fatta dalle improvvisazioni di decine di ragazzi e ragazze. Che ballano e cantano, cambiando i testi delle canzoni. Per raccontare microstorie di altrettanto piccole comunità. O anche semplicemente per chiamare i nomi dei loro amici e ridere. Tanti ragazzi, tante ragazze. Mai così tanti, così tante. Ma ormai è inutile chiedere loro qualcosa di più. «Basta, sempre la stessa domanda. Che noia i giornalisti». Ridono e sventolano le bandiere. Le più strane. C'è quella catalana, quella brasiliana, quella della Giamaica. C'è quella della pace, sventolata ritmicamente da un gruppo di migranti. C'è la bandiera del Ghana che non ha alcun valore simbolico ma è bella, verde, giallo e rossa, con al centro una grande stella. E soprattutto è la bandiera del paese di quel ragazzo che la agita. Ma va bene così. C'è tutto questo, e c'è anche tanto, tanto vino. Tanta allegria. Un po' di marijuana ma meno di quanto uno possa immaginare. Tanti balli, un po' di fisarmonica. Tante parole. No, non quelle degli slogan. Piuttosto sono quelle di quel gruppetto di ragazzi omosessuali, giovanissimi. Diciassette, diciotto anni. Uno di loro, Oliviero, era troppo piccolo l'anno scorso per votare alle politiche. Ma se possibile è ancora più deluso degli altri. Perché non ha fatto in tempo a dare una delega a Prodi, all'Unione. La difesa dei suoi diritti l'aveva delegata ai suoi amici, ai suoi compagni di università, ai giovani comunisti. Perché "vigilassero" sul rispetto degli impegni. Non l‘hanno fatto, meglio: non l'hanno fatto a sufficienza. O almeno così gli sembra. Perciò è molto amareggiato. Un'amarezza che diventa subito però, anche per lui, voglia di ballare,di cantare, di scherzare. Ormai è l'alba, Civitavecchia è una lunga distesa di luci. Le prime luci dopo una notte in un mare nerissimo. Sul molo, alle sei e venti, ad aspettare questa delegazione c'è Franco Giordano. Volto un po' stanco ma quando scende dal traghetto questo fiume di persone, passa tutto. Tanti gli stringono la mano, lo salutano, con una battuta ricordano qualche vicenda passata assieme al segretario del loro partito. Lo salutano con calore anche quel gruppo con le bandiere del Pdci, coi quali, magari, anni fa ci furono scontri duri. Ma tantissimi, i più, si fermano e colgono l'occasione per presentarsi. «Ciao sono Ivan», «sono Romina» - la più giovane assessore regionale d'Italia-, «Angelo», «Stefania» e via così. Si presentano, non lo conoscono di persona. Per molti di loro, insomma, sembra essere la prima occasione di contatto con la politica. Con la sinistra. E se è così, allora il 20 ottobre ha già vinto.21/10/2007

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